Immagina uno scenario tristemente frequente: una persona avverte sintomi sospetti, si rivolge al medico, ma i segnali vengono sottovalutati e liquidati come un disturbo minore. Sei mesi di ritardo diagnostico bastano per trasformare un’allerta in un fulmine a ciel sereno: la diagnosi tardiva di tumore.
In un caso del genere, le probabilità di guarigione potrebbero passare dall’80% con una diagnosi tempestiva al 30% dopo mesi di ritardo. Il dramma non è solo la malattia diagnosticata tardi, ma la consapevolezza di aver perso tempo prezioso. A questo punto la domanda che affligge paziente e familiari è inevitabile: “Come ottenere un risarcimento se non c’è la certezza assoluta che la diagnosi precoce avrebbe salvato la vita? Non si può dimostrare al 100%!”.
È questa l’incertezza che blocca molte richieste. Ma nel nostro ordinamento interviene il concetto di danno da perdita di chance: non è un cavillo, ma uno strumento di giustizia pensato per risarcire la possibilità concreta di stare meglio o di vivere di più, che è stata sottratta.
Cos’è il danno da perdita di chance
Il danno da perdita di chance ci permette di superare la trappola del “sarebbe successo comunque”. Non si deve dimostrare che la corretta condotta medica avrebbe garantito con certezza la guarigione, ma che avrebbe offerto una possibilità concreta di ottenerla o di migliorare significativamente l’esito clinico. Il risarcimento, dunque, non è per il decesso, l’invalidità o per la malattia, ma per la perdita di quel diritto a giocarsi la possibilità di stare meglio.
Per comprendere meglio: immagina un atleta qualificato per una finale olimpica con buone possibilità di medaglia. Se un infortunio causato dalla negligenza di un allenatore gli impedisce di gareggiare, l’atleta non può chiedere il risarcimento della medaglia d’oro (che non era garantita), ma ha diritto a essere risarcito per la perdita di quella possibilità concreta di vincerla. Più alte erano le sue probabilità di successo in base ai risultati precedenti, più alto sarà il valore della chance perduta.
Analogamente, nella sanità, il ritardo diagnostico o l’errore non risarcisce la guarigione certa, ma la perdita di un’opportunità terapeutica con un 50% o 60% di successo. Questa chance, rimossa, è un danno attuale, non ipotetico. Per chiarezza possiamo distinguere in maniera definita:
- Danno certo: è sicuro che l’errore abbia causato il danno, quindi il risarcimento copre il danno completo;
- Danno da perdita di chance: quando non è possibile dimostrare con certezza che l’errore medico ha causato il danno finale, ma è provato che esisteva una probabilità seria e concreta di evitarlo con una condotta corretta. In questo caso si risarcisce la perdita di quella possibilità.
Quando si applica il danno da perdita di chance in ambito medico
Il danno da perdita di chance agisce come un meccanismo di risarcimento fondamentale quando l’errore medico non è la causa certa del danno, ma ha irrimediabilmente annullato o diminuito una concreta probabilità di guarigione.
Nella nostra esperienza legale, abbiamo verificato quanto il danno da perdita di chance sia correlato a vari fattori.
- Ritardo diagnostico: la mancata o tardiva identificazione di patologie serie (come tumori), negando al paziente l’accesso a cure in una fase precoce, con migliori chance di sopravvivenza.
- Perdita di opportunità terapeutica: rifiuto o omissione di interventi e farmaci salvavita che costituivano l’opzione clinica più sensata.
- Gestione inadeguata: errori nella scelta della terapia o la sottovalutazione di emergenze che hanno fatto perdere tempo prezioso.
Vediamo alcuni casi concreti seguiti dal nostro Studio che mostrano come si applica il danno da perdita di chance nella pratica.
Intervento chirurgico mal eseguito con complicanze
Un caso emblematico di danno da perdita di chance si è concluso al Tribunale di Napoli con un risarcimento di oltre € 594.000. La condanna è stata emessa contro le strutture sanitarie per il decesso di un paziente dovuto a una serie di negligenze.
Tutto ha avuto inizio con l’omessa asportazione completa dei calcoli biliari durante una colecistectomia. Il quadro è peggiorato per la dimissione prematura e la totale inosservanza delle misure preventive contro le infezioni ospedaliere, che hanno generato una pancreatite necrotica. La prolungata agonia del paziente, durata circa due anni e mezzo, ha confermato la gravità degli errori e della perduta opportunità terapeutica.
Il fulcro della sentenza (Trib. Napoli 19/5/2023) non è stato il nesso causale certo con la morte, ma il riconoscimento che le mancate cure e la strategia errata avevano tolto al paziente il 50% delle sue chance di sopravvivenza. Pertanto, il risarcimento ha compensato gli eredi per il valore di quella concreta probabilità di guarigione che l’errore medico aveva irrimediabilmente annullato.
Terapia antibiotica inadeguata
Una paziente affetta da versamento polmonare e altre gravi patologie preesistenti (diabete, cardiopatia) è stata dimessa dall’ospedale con una terapia antibiotica inadeguata. I medici non hanno eseguito la toracocentesi, esame fondamentale per identificare con precisione il tipo di infezione, e hanno sbagliato i tempi degli esami colturali. Questi errori hanno portato alla scelta dell’antibiotico sbagliato, aggravando lo stato settico della paziente.
L’infezione si è progressivamente aggravata fino al decesso. Il Tribunale di Benevento ha respinto la tesi della difesa secondo cui le gravi patologie pregresse avrebbero comunque causato il decesso. I giudici hanno stabilito che le gravi patologie che la paziente aveva già prima degli errori medici non eliminano il diritto al risarcimento. Queste malattie preesistenti influenzano solo la percentuale di possibilità che è stata persa, ma non cancellano la responsabilità dei medici.
Di conseguenza, il Tribunale ha riconosciuto la perdita del 30% delle possibilità di sopravvivenza e ha condannato la struttura sanitaria a un risarcimento di più di €195.000, liquidando agli eredi anche il danno da lucida agonia e il danno da lesione del diritto all’autodeterminazione per la mancanza di informazioni complete.
Emergenza sottovalutata con conseguenze fatali
Un paziente, intossicato da pesticida e ricoverato in Pronto Soccorso, è morto il giorno successivo per arresto cardiorespiratorio. L’errore fatale della struttura sanitaria, come accertato dal Tribunale di Napoli, è stato il disinteresse e l’omissione di ogni cura adeguata, inclusa l’urgente decontaminazione, e la dimissione superficiale del paziente.
L’avvelenamento è stato la causa iniziale del peggioramento delle condizioni del paziente, ma la negligenza ha precluso ogni speranza di sopravvivenza. I familiari hanno ottenuto giustizia proprio grazie al principio del danno da perdita di chance. Il Tribunale ha condannato la struttura sanitaria per aver sottratto al paziente le sue concrete e apprezzabili chance di sopravvivenza.
Il Tribunale di Napoli ha riconosciuto la perdita del 25% delle possibilità di sopravvivenza e ha condannato la struttura sanitaria a un risarcimento di oltre €221.000. Il risarcimento non ha coperto il danno da “morte certa”, ma ha quantificato il valore della possibilità concreta di salvarsi che una corretta e tempestiva gestione clinica avrebbe offerto al paziente. La sentenza ha riconosciuto che il danno subìto dalla vittima in vita non è la morte in sé, ma la perdita definitiva di ogni opportunità di evitarla.
Come si calcola il risarcimento
Quando si chiede il risarcimento per danno da perdita di chance, la liquidazione avviene attraverso un calcolo rigoroso, chiamato coefficiente di riduzione. L’obiettivo è liquidare la possibilità che è stata rubata al paziente.
Il meccanismo è semplice: si identifica il danno totale subito e lo si moltiplica per la percentuale di probabilità di successo perduta. Se il danno finale accertato (ad esempio, un peggioramento irreversibile) è stimato in €200.000, e la probabilità di evitare tale danno, se gestito correttamente, era del 40%, allora il risarcimento dovuto sarà di €80.000 (il 40% di €200.000).
La vera battaglia legale si gioca sulla determinazione di questa percentuale. La sua quantificazione è delegata a una consulenza medico-legale che deve essere inattaccabile. Il perito esamina scrupolosamente:
- Statistiche e linee guida ufficiali: Qual era la prassi clinica standard e quali tassi di successo terapeutico erano attesi in base alla letteratura scientifica.
- Analisi specifiche: Il caso clinico del singolo paziente, considerando le sue condizioni preesistenti.
Come dimostrato dal caso dell’avvelenamento da pesticida menzionato prima, non serve che la probabilità di successo fosse superiore al 50%. Anche percentuali del 25-30% sono considerate “serie e apprezzabili” e quindi risarcibili.
Cosa serve per dimostrare la perdita di chance
Per trasformare il sospetto di un errore medico in un risarcimento per danno da perdita di chance, l’onere della prova ricade sul paziente (o sui suoi familiari). E non basta lamentarsi; serve un riepilogo di dati.
L’obiettivo principale è dimostrare che:
- prima dell’errore esisteva una possibilità concreta di guarigione o di esito migliore;
- l’errore medico ha ridotto significativamente le probabilità di successo della terapia che avrebbe dovuto essere applicata;
- la perdita o la riduzione di questa possibilità è misurabile in una percentuale specifica.
È cruciale raccogliere ogni pezzo di documentazione sanitaria, inclusa una cronologia dettagliata dei sintomi iniziali (quando i medici avrebbero dovuto intervenire prima) e dell’evoluzione clinica successiva. Il vero fulcro della dimostrazione è la perizia medico-legale. Il perito, basandosi su studi scientifici aggiornati e letteratura medica specialistica, deve quantificare le probabilità di successo della terapia che non è stata somministrata. Verranno analizzate le linee guida cliniche per stabilire quali fossero i protocolli corretti da seguire, confrontandoli con l’operato effettivo.
Lo standard richiesto in tribunale è la possibilità “seria e apprezzabile”. Non è necessario dimostrare che l’opportunità di guarigione fosse superiore al 50%. La Corte accetta anche calcoli probabilistici: se si può provare che esisteva una ragionevole probabilità di conseguire un risultato migliore – anche se solo del 25-30% – si ha diritto al risarcimento. Non serve una certezza matematica assoluta; serve una solida base scientifica per trasformare la possibilità in percentuale.
In sintesi: il Tribunale non richiede prove di certezza assoluta, impossibili da ottenere in ambito medico, ma evidenze scientifiche solide che dimostrino l’esistenza di una possibilità seria e documentabile di un esito migliore. Il danno da perdita di chance rappresenta un diritto riconosciuto dalla giurisprudenza che tutela i pazienti anche quando non esiste certezza assoluta sull’esito.
Come dimostrato dai casi seguiti dal nostro studio, anche percentuali del 25-30% sono considerate risarcibili se rappresentano possibilità serie e concrete. Il risarcimento viene calcolato applicando la percentuale di probabilità perduta al valore del danno finale: non servono certezze matematiche assolute, ma prove scientifiche documentabili.
Se hai subito un ritardo diagnostico o un errore terapeutico che ha ridotto le tue possibilità di guarigione, hai diritto a essere tutelato anche se l’esito positivo non era garantito.
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