A cura dell’Avv. Vincenzo Liguori

Trib. Napoli 22/11/2023 n. 8047: responsabilità per omessa prevenzione della recidiva di attacco ischemico transitorio (TIA) e decesso del paziente.

Il paziente subiva un attacco ischemico transitorio (TIA) che lo aveva portato a manifestare cefalea, stato confusionale e blocco della parola; lo stesso giorno, pertanto, il paziente si ricoverava presso la struttura sanitaria con diagnosi di accettazione di “cefalea nucale, profusa sudorazione”.
Il paziente, nel corso del ricovero, lamentava altresì disturbi neurologici (afasia) e disfagia, per i quali veniva sottoposto ad esame TAC cranio che non evidenziava alterazioni.
Il paziente, soltanto nel tardo pomeriggio, veniva sottoposto ad ecocardiogramma transtoracico e transesofageo che evidenziava un versamento pericardico per il quale si rendeva necessario un immediato intervento chirurgico di pericardiocentesi.
Tuttavia, successivamente, altri medici in servizio presso l’ospedale ritenevano che l’intervento chirurgico di pericardiocentesi non fosse né necessario né utile, limitandosi dunque a somministrare al paziente un trattamento farmacologico.
Nel corso dell’intera notte le condizioni cliniche del paziente peggioravano sempre più.
Veniva, pertanto, allertato il personale medico in servizio che, però, si limitava a mantenere sostanzialmente invariata la terapia farmacologica in somministrazione.
Lo sventurato paziente, dopo poche ore, subiva una recidiva di attacco ischemico transitorio (TIA) e, successivamente, decedeva per arresto cardio-respiratorio.

Il personale medico in servizio, infatti, nel corso del trattamento sanitario, del tutto erroneamente ed inescusabilmente:
– errava la diagnosi iniziale, focalizzando l’attenzione diagnostico-terapeutica sulla pericardite e trascurando completamente l’attacco ischemico transitorio (TIA) subito dal de cuius poche ore prima del ricovero;
– errava nella somministrazione delle cure farmacologiche, non attuando le doverose terapie preventive al fine di scongiurare una temibile e grave recidiva di attacco ischemico;
– non somministrava al paziente – come invece prescrivevano le linee guida ed i protocolli di riferimento – antiaggreganti piastrinici ed anticoagulanti, il che avrebbe consentito di prevenire ed impedire il catastrofico finale evento ischemico cerebrale;
– redigeva la cartella clinica solo a posteriori, non contestualmente ai trattamenti sanitari ed, in ogni caso, in maniera incompleta ed infedele.

Il Tribunale:
– accoglie le tesi dei figli del paziente defunto;
– rigetta le tesi della struttura sanitaria;
– riconosce il danno da perdita del rapporto parentale subìto dai figli superstiti;
– condanna la struttura sanitaria al risarcimento di tutti i danni subiti.

Leggi ordinanza

A cura dell’Avv. Vincenzo Liguori

Trib. Napoli 31/10/2023 n. 7182: responsabilità per negligente disinteressamento ed omessa decontaminazione del paziente avvelenato.

Il paziente si recava presso il Pronto Soccorso della struttura sanitaria, ove veniva ricoverato per malore diffuso, conati di vomito e dolori agli arti inferiori, provocati dall’accidentale ingestione di un pesticida diserbante (Diquat) mentre era intento a spargerlo nel fondo di cui era proprietario.
Il personale medico in servizio presso la struttura sanitaria, però, nonostante l’evidente gravità della condizione clinica del paziente (avvelenamento da pesticida), non sottoponeva lo stesso ad alcun trattamento sanitario in grado di salvargli la vita.
Infatti, nonostante la diagnosi di avvelenamento, i sanitari non provvedevano a sottoporre il paziente ad idoneo trattamento terapeutico, limitandosi ad effettuare allo stesso un’iniezione di glucosio ed a trasferirlo presso il reparto O.B.I. (Osservazione Breve Intensiva), da cui veniva dimesso il giorno seguente senza ricevere le opportune informazioni circa la gravità del suo stato di salute né, tantomeno, le opportune cure.
I sanitari in servizio presso la struttura sanitaria, infatti, sottovalutavano il caso del paziente e, nonostante fossero perfettamente a conoscenza dell’intossicazione, dopo l’accettazione non ponevano in essere alcuna procedura di decontaminazione né di prevenzione o limitazione dell’ulteriore assorbimento della sostanza velenifera, relegando il paziente – per l’intera notte – su una brandina senza alcuna assistenza e/o monitoraggio.
Lo sventurato paziente, il mattino seguente, veniva dimesso con la medesima superficialità con cui era stato preso in cura, senza essere informato in alcun modo né della gravità della sua condizione clinica né tantomeno dell’importanza di rimanere in osservazione al fine di limitare il rischio letale cui andava incontro.
Il giorno successivo, dopo pochi minuti dalle intervenute dimissioni, il paziente, in preda a violente convulsioni e ad un blocco renale, si recava nuovamente presso il Pronto Soccorso della struttura sanitaria, ove decedeva poco dopo per arresto cardiorespiratorio.

Il Tribunale:
– accoglie le tesi dei familiari del paziente;
– rigetta le tesi della struttura sanitaria;
– riconosce il danno da perdita di occasione favorevole subìto dalla vittima in vita;
– condanna la struttura sanitaria al risarcimento dei danni subiti in vita dal de cuius;
– liquida agli eredi (moglie e figlie) del de cuius il danno da perdita di chance, trasmesso loro iure hereditatis dal defunto, per la perdita delle serie, concrete ed apprezzabili chance di sopravvivenza che lo stesso avrebbe avuto in caso di corretta e tempestiva strategia terapeutica.

Leggi ordinanza

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