Morte fetale durante il parto: riconosciuta responsabilità dei sanitari
Il Tribunale di Pescara ha riconosciuto la responsabilità di ginecologi e ostetriche per la morte di un feto durante il parto di una donna alla prima gravidanza con diabete gestazionale. Nonostante i tracciati del battito cardiaco del bambino (CTG) mostrassero segnali di sofferenza, i medici non hanno proceduto subito con il cesareo, come richiesto, e hanno continuato con un monitoraggio intermittente, perdendo tempo prezioso.
Il peggioramento dei tracciati CTG ha poi rivelato l’assenza di battito cardiaco fetale, portando a un cesareo tardivo con l’estrazione del feto ormai deceduto. Il Tribunale ha concluso che un monitoraggio continuo e una gestione più appropriata del caso avrebbero probabilmente evitato l’esito fatale, evidenziando una mancata tempestività nell’agire di fronte ai segnali di sofferenza del bambino.
Il Tribunale ha accolto le richieste della madre, condannando la struttura sanitaria e le assicurazioni al risarcimento per la perdita della relazione affettiva con il nascituro, il danno non patrimoniale per il periodo successivo al parto e le spese funerarie. La quantificazione del danno è stata effettuata in base ai criteri del Tribunale di Milano per la perdita del rapporto parentale.
Segue il riepilogo della sentenza a cura dell’Avv. Vincenzo Liguori:
Trib. Pescara 20/3/2024 n. 460 – responsabilità del ginecologo per l’errata gestione del parto.
La partoriente, giunta quasi alla 39^ settimana di gravidanza, veniva ricoverata presso il reparto di Ostetricia e Ginecologia della struttura sanitaria con diagnosi di “travaglio di parto in primigravida a termine, diabete gestazionale” per ottenere l’assistenza sanitaria al parto, portando seco la documentazione clinica pregressa che evidenziava diabete gestazionale e scarso accrescimento del feto.
Ivi, la gestante veniva sottoposta ad un primo monitoraggio cardiotocografico (CTG) che evidenziava scarse accelerazioni e presenza di decelerazioni, di cui 2 variabili atipiche in un arco di tempo di 20 minuti.
La partoriente, dunque, una volta ricoverata in sala parto, chiedeva di essere immediatamente sottoposta a parto cesareo elettivo, soprattutto in considerazione dell’esito preoccupante del tracciato CTG.
I medici, tuttavia, non accoglievano la richiesta della gestante, perdendo tempo prezioso tramite l’auscultazione intermittente del battito fetale, eseguendo un secondo e poi un terzo monitoraggio CTG ad intermittenza (i quali presentavano, tra l’altro, un peggioramento rispetto ai risultati precedenti, evidenziando tachicardia fetale lieve, assenza di variabilità, assenza di accelerazioni, presenza di decelerazioni uniformi tardive e variabili atipiche, ovvero tutti segni di sofferenza fetale in atto) fino a che non emergeva, in serata, l’improvvisa assenza di battito cardiaco del feto (per “arresto improvviso dell’attività cardiaca fetale”).
Dunque, poco prima della mezzanotte, la paziente veniva tardivamente sottoposta ad intervento di taglio cesareo, a seguito del quale, però, veniva estratto un feto oramai deceduto.
Nel corso del giudizio è emersa la responsabilità del ginecologo e degli ostetrici presenti al parto per non aver correttamente gestito il parto in quanto, in tutti e tre i tracciati, erano evincibili delle caratteristiche non rassicuranti delle condizioni fetali ed in questi casi il comportamento dei sanitari avrebbe dovuto essere rivolto alla risoluzione delle condizioni determinanti la sofferenza fetale, oltre che alla maggiore osservazione dell’evoluzione delle condizioni del feto, mantenendo una doverosa registrazione CTG in continua.
Nel corso del giudizio è emerso infatti che una costante monitorizzazione fetale ed un più accurato management del caso clinico avrebbero consentito di evitare l’esito infausto per il piccolo nascituro.
Nel caso in esame, infatti, con tracciati non rassicuranti in una paziente a rischio (per il diabete e per la riduzione della crescita fetale presentati già al momento del ricovero), l’aver interrotto il monitoraggio cardiotocografico per passare all’auscultazione intermittente si è rivelata una scelta non adeguata.
L’auscultazione intermittente praticata dai sanitari (senza peraltro alcuna registrazione su carta) non ha consentito di valutare le condizioni fetali quali la variabilità, la frequenza di base, la presenza di decelerazioni o accelerazioni, come invece solitamente avviene con il tracciato cardiotocografico.
D’altra parte, il persistere delle condizioni non rassicuranti del CTG doveva indurre i medici, già dopo il secondo tracciato, ad un’immediata estrazione del feto con taglio cesareo, eventualmente dopo avere tentato di correggere, se ed ove possibile, le condizioni inducenti le condizioni non rassicuranti.
Questo diverso approccio avrebbe evitato molto probabilmente il decesso endouterino del feto.
Il Tribunale:
– accoglie le tesi della madre danneggiata;
– rigetta le tesi della struttura sanitaria e delle imprese di assicurazione;
– riconosce, alla madre del feto deceduto, il danno da perdita della relazione affettiva potenziale con il proprio concepito/nascituro ed il danno non patrimoniale da invalidità temporanea;
– utilizza, quale parametro per la valutazione equitativa del danno in questione, i criteri tabellari elaborati dal Tribunale di Milano per il danno da perdita del rapporto parentale;
– liquida alla madre superstite:
► il danno non patrimoniale per la perdita del feto/nascituro;
► il danno non patrimoniale (biologico e morale) da invalidità temporanea;
► il danno emergente passato per le spese funeratizie sostenute.