A cura dell’Avv. Vincenzo Liguori
Trib. Napoli 25/8/2024 n. 7004 – responsabilità del cardiochirurgo – infarto del miocardio – aneurisma dell’aorta
Il paziente, affetto da aneurisma dell’aorta addominale, si sottoponeva ad intervento chirurgico di esclusione di aneurisma dell’aorta toracica mediante posizionamento di endoprotesi.
All’esito dell’intervento, tuttavia, il paziente subiva un infarto miocardico acuto, gestito inadeguatamente e tardivamente dal personale sanitario.
Nel corso del giudizio è emerso che la patologia infartuale sarebbe stata ampiamente evitabile mediante un adeguato e completo studio preoperatorio, i cui esiti sono stati ulteriormente aggravati dai sanitari per il grave ritardo con cui il paziente, dopo l’insorgenza della sintomatologia infartuale, è stato trasferito presso l’Unità di Terapia Intensiva Coronarica al fine di effettuare un’angioplastica coronarica riparatoria.
I medici, in particolare:
• non praticavano un tempestivo ed adeguato inquadramento diagnostico del paziente per la precipua individuazione dei concreti fattori di rischio ischemico;
• non eseguivano, precedentemente all’intervento, i pur dovuti ulteriori approfondimenti diagnostici circa la condizione ischemica (i quali avrebbero certamente consentito di ben identificare i fattori di rischio e di gestire in maniera appropriata il caso, evitando l’insorgenza dell’infarto del miocardio post-operatorio);
• non riportavano, in sede di consulenza preoperatoria, il rischio ASA sul modulo prestampato, omettendo, dal punto di vista formale, d’indicare un indice necessario per la valutazione complessiva del paziente;
• non eseguivano, una volta insorta la complicanza infartuale, la tempestiva coronarografia e quindi l’immediata rivascolarizzazione ai fini del ripristino del flusso coronarico.
• trasferivano il paziente in UTIC (Unità di Terapia Intensiva Coronarica) con gravissimo ritardo a seguito dell’insorgenza della sintomatologia infartuale e della diagnosi di SCA-STEMI;
• eseguivano in modo gravemente tardivo l’esame angiografico e la rivascolarizzazione percutanea a seguito dell’insorgenza della sintomatologia infartuale, della diagnosi di SCA-STEMI e del trasferimento in UTIC, provocando un tempo maggiore di ischemia e, dunque, una maggiore estensione e gravità del danno miocardico;
• eseguivano, in particolare, l’angiografia con intervento percutaneo con oltre 160 minuti di ritardo rispetto a quanto previsto dalle linee guida ESC dell’epoca, determinando il grave ed irreversibile danno miocardico (poi rilevato, infatti, dagli esami ecocardiografici successivi);
• esponevano il paziente a rischio, quoad vitam, legato all’insufficienza cardiaca nonché al rischio emorragico legato alla terapia anticoagulante che sarà costretto ad assumere per l’intero arco della vita.
Tutto ciò contribuiva a provocare l’estensione dell’ischemia cardiaca con compromissione della funzione sistolica globale a lungo temine.
Il Tribunale:
– accoglie le tesi del danneggiato;
– rigetta le tesi della struttura sanitaria;
– dichiara la risoluzione del contratto di cura e la perdita del diritto al compenso da parte della struttura sanitaria;
– condanna la struttura sanitaria alla restituzione dei compensi erogati dal paziente ed al risarcimento dei danni subiti a causa dell’errato trattamento sanitario;
– liquida in favore del danneggiato il risarcimento del danno non patrimoniale mediante il criterio correttivo del danno differenziale iatrogeno;