A cura dell’Avv. Vincenzo Liguori
App. Napoli 12/4/2024 n. 1614 – responsabilità del ginecologo per l’errata gestione del parto.
Ribaltato l’esito del giudizio di primo grado, che aveva negato la responsabilità della struttura sanitaria per la morte del neonato.
La partoriente si ricoverava presso il reparto di Ostetricia e Ginecologia della struttura sanitaria dove, lo stesso giorno, dava alla luce il piccolo neonato con parto naturale.
Solo al momento dell’espulsione del feto i sanitari si avvedevano che lo stesso aveva un giro di cordone ombelicale intorno al collo ed era affetto da una grave sofferenza da asfissia perinatale, che rendeva necessaria l’immediata rianimazione e intubazione, previa aspirazione di meconio dalla trachea.
A causa della lunga asfissia perinatale e dell’inalazione di meconio per l’errata conduzione del parto, il neonato aveva patito gravissime lesioni cerebrali con precoce insorgenza di convulsioni e di attività epilettogena, ipotonia generalizzata, mancanza di reattività, di riflessi e di movimenti spontanei, midriasi fissa, manifestazione di clonie, assenza di respiro spontaneo ed autonomo nonché grave acidosi metabolica, per cui veniva subito ricoverato presso il reparto di Terapia Intensiva Neonatale della stessa struttura sanitaria.
Qui il piccolo neonato restava ricoverato ininterrottamente, in gravissime condizioni di salute, fino a quando, dopo circa 13 mesi di agonizzante sopravvivenza, decedeva in conseguenza delle lesioni riportate intra partum e delle correlative menomazioni cerebrali residuate.
Nel corso del giudizio di primo grado, il Tribunale aveva negato le responsabilità della struttura sanitaria ritenendo che, vista l’assenza di sufficienti ed esaustivi parametri neo-natali – non presenti in cartella clinica, la quale si presentava assai lacunosa sul punto – e non essendovi, dunque, prova dello stato di sofferenza pre-natale del feto, l’asfissia doveva presumersi essere avvenuta solo al momento dell’espulsione del nascituro, ciò comportando l’imprevedibilità e l’inevitabilità dell’evento asfittico da parte dei medici e, pertanto, l’assenza di loro responsabilità.
I familiari del piccolo neonato proponevano appello avverso detta decisione, ritenendola ingiusta, sostenendo che il Tribunale civile avesse – erroneamente – applicato i diversi e più restrittivi criteri vigenti in sede penale per l’accertamento della responsabilità e che, allo stesso tempo, il Tribunale non avesse tenuto debitamente conto del fatto che la lacunosità della cartella clinica era imputabile alla colpa degli stessi sanitari, i quali, interrompendo anzitempo il tracciato e non compilando correttamente la cartella clinica, hanno così precluso ai danneggiati di poter dimostrare il nesso causale tra condotta omissiva dei medici e lesioni al nascituro.
Nel corso del giudizio di Appello è infatti emersa la responsabilità dell’equipe ginecologica della struttura sanitaria per aver mal interpretato i dati clinici neonatali, dai quali risultava chiaramente che l’origine degli esiti neurologici, rilevati sin dalla nascita (e che hanno poi condotto il neonato al decesso), potevano ricondursi al periodo del travaglio, non essendo stati intercettati tempestivamente dai medici perché l’assistenza non è stata conforme alle buone norme della pratica medica.
In particolare, è emerso che la sofferenza fetale aveva iniziato a dare segni di sé già nel corso del primo tracciato CTG (poi inopportunamente interrotto anzitempo dai sanitari) e che, se tali iniziali segni di sofferenza fossero stati notati nel corso di una corretta e tempestiva osservazione, il personale medico avrebbe potuto intervenire tempestivamente mediante l’estrazione del feto tramite Taglio Cesareo, garantendo la nascita di un feto sano e privo di lesioni celebrali.
Inoltre, la Corte di Appello ha ritenuto che l’inidonea, incompleta e lacunosa compilazione della cartella clinica da parte dei sanitari non possa pregiudicare, sul piano probatorio, i soggetti danneggiati e che, anzi, in ossequio al principio di vicinanza della prova e del c.detto danno evidenziale, sia consentito ricorrere a presunzioni qualora, come nel caso di specie, sia impossibile una prova diretta proprio a causa della condotta della parte contro cui doveva dimostrarsi il fatto invocato.
La Corte di Appello, pertanto:
– accoglie le tesi dei familiari danneggiati;
– rigetta le tesi della struttura sanitaria;
– censura la sentenza di primo grado;
– riconosce il danno parentale ed il danno da sofferenza ai familiari del neonato, nonché il danno terminale subito dal neonato per il periodo in cui è rimasto in vita (e, cioè, nel corso del periodo di sopravvivenza);
– liquida ai genitori, alla sorellina ed ai nonni superstiti, sulla scorta delle vigenti tabelle di liquidazione del Tribunale di Roma:
► il danno biologico terminale patìto dal neonato-de cuius durante il periodo di sopravvivenza;
► il danno non patrimoniale per la perdita del congiunto.