Onere di espressa riproposizione in appello delle domande assorbite in primo grado

7/2/2023: articolo dell’avv. Vincenzo Liguori

ONERE DI ESPRESSA RIPROPOSIZIONE IN APPELLO DELLE DOMANDE ASSORBITE IN PRIMO GRADO

A cura dell’avv. Vincenzo Liguori.

Il principio di diritto.
In conformità a quanto disposto dalle Sezioni Unite della S.C., la Corte di Cassazione, sez. VI Civile, sentenza 12 aprile 2022, n. 11895, sancisce che le domande e le eccezioni non accolte in primo grado, in quanto rimaste assorbite dall’accoglimento della domanda principale (in questo caso la simulazione), debbono essere espressamente riproposte in sede di appello, senza necessità di appello incidentale e senza uno specifico vincolo di forma (cfr. Cass. S.U. 12/5/2017 n. 11799).

I fatti di causa.
La Banca Unicredit conveniva in giudizio innanzi al Tribunale di Bologna una coppia di coniugi ed il loro figlio, chiedendo che fossero dichiarati simulati, ovvero in subordine inefficaci nei suoi confronti ai sensi dell’art. 2901 c.c., due atti di compravendita con i quali gli stessi coniugi convenuti avevano ceduto al loro figlio la proprietà di una serie di immobili.
La Banca attrice, a sostegno della propria domanda, esponeva che i coniugi convenuti avevano rilasciato in suo favore una fideiussione per le obbligazioni assunte da una Società che risultava essere esposta per la somma di Euro 587.000.
Nel giudizio di primo grado si costituivano i convenuti ed interveniva la Banca Monte dei Paschi di Siena associandosi alle domanda dell’attrice.
Il Tribunale accoglieva la domanda principale di simulazione e condannava i convenuti al pagamento delle spese di lite.

Avverso la sentenza del Tribunale di Bologna proponevano appello i convenuti soccombenti.
Il giudizio di appello, successivamente, veniva interrotto per la morte di una delle parti.
Gli appellanti riassumevano il giudizio e la Corte di Appello di Bologna, con sentenza n. 2904 del 17 ottobre 2019, in riforma della decisione di primo grado, rigettava la domanda di simulazione ma accoglieva quella di revocatoria, dichiarando, pertanto, inefficaci nei confronti della Banca – la quale, nelle more, era succeduta nel credito – i due atti di compravendita in esame, compensando le spese dei due gradi di giudizio per la reciproca soccombenza.
La stessa Corte, in particolare, rilevava che la domanda di revocatoria era esaminabile in quanto, seppur non riportata nelle conclusioni della prima comparsa di risposta, era stata riproposta nel corpo della medesima e nelle conclusioni depositate nella fase successiva alla riassunzione.

Avverso tale sentenza hanno proposto ricorso in Cassazione gli appellanti soccombenti affidando il loro ricorso a due motivi.
I ricorrenti, in particolare:
(-) con il primo motivo di ricorso eccepivano la nullità della sentenza per ultrapetizione ex art. 112 c.p.c. avendo la stessa esaminato la domanda di revocatoria che non era stata riproposta in grado di appello;
(-) con il secondo motivo di ricorso eccepivano la violazione e falsa applicazione dell’art. 2901 c.c. per la mancanza delle condizioni necessarie per accogliere la domanda revocatoria.

La norma processuale.
L’art. 346 c.p.c., rubricato “decadenza dalle domande e dalle eccezioni non riproposte”, prevede espressamente che le domande e le eccezioni non accolte nella sentenza di primo grado, che non sono espressamente riproposte in appello, si intendono rinunciate.

Ragioni della decisione della Suprema Corte di Cassazione.
La Suprema Corte ha accertato che dagli atti di causa risultava che la Banca, nel costituirsi nel giudizio di appello con l’originaria comparsa di risposta, dopo aver ripreso la questione della simulazione, aveva rilevato che la sentenza di primo grado non aveva in alcun modo affrontato il tema della revocatoria, per cui su questo punto non vi era stata alcuna decisione da impugnare.
La Banca, sul punto e nello stesso atto, aveva precisato che dovevano essere ribadite le argomentazioni che avrebbero potuto essere poste “a fondamento di un’eventuale pronuncia di revocatoria degli atti di compravendita per cui è causa”.
Per la Suprema Corte, quindi, seppur l’accoglimento della domanda di revocatoria non era stato espressamente riportato nelle conclusioni contenute nella comparsa di risposta – precisazione che è poi stata inserita nella comparsa di costituzione a seguito della riassunzione – deve affermarsi che il tenore dell’atto sia più che idoneo a far ritenere che tale domanda sia stata correttamente e tempestivamente riproposta.
Invero, in conformità a quanto disposto dalle Sezioni Unite della S.C., le domande e le eccezioni non accolte in primo grado, in quanto rimaste assorbite dall’accoglimento della domanda principale (in questo caso la simulazione), debbono essere riproposte in sede di appello, senza necessità di appello incidentale e senza uno specifico vincolo di forma (Cass. S.U. 12/5/2017 n. 11799).
Ne consegue, quindi, che l’appellato che ha visto accogliere nel giudizio di primo grado la sua domanda principale, per non incorrere nella presunzione di rinuncia di cui all’art. 346 c.p.c., è tenuto a riproporre espressamente, in qualsiasi forma indicativa della volontà di sottoporre la relativa questione al giudice d’appello, la domanda subordinata non esaminata dal primo giudice, non potendo quest’ultima rivivere per il solo fatto che la domanda principale sia stata respinta dal giudice dell’impugnazione (Cass. 14/4/2015 n. 7457; Cass. 3 luglio 2020, n. 13721).

Con il secondo motivo di ricorso, come esposto, i ricorrenti rilevavano che la legge vieta di assoggettare a revocatoria il pagamento di un debito scaduto.
La Corte ha ritenuto infondato tale motivo sia perché la sentenza impugnata aveva correttamente affermato che era rimasta del tutto sfornita di prova l’affermazione che le somme frutto delle vendite in questione erano state versate in adempimento (parziale) del debito scaduto e sia perché, al fine di stabilire l’anteriorità o la posteriorità degli atti dispositivi, ciò che conta è la prima fideiussione che, nel caso in esame, risaliva ad un momento antecedente rispetto alle due vendite, per cui del tutto infondata è risultata essere la censura circa la presunta anteriorità degli atti dispositivi rispetto al sorgere del credito.

Il ricorso, pertanto, è stato rigettato.