Ogni anno, il 7 aprile si celebra la Giornata Mondiale della Salute. Istituita nel 1948, anno della prima Assemblea dell’Organizzazione Mondiale della Sanità (OMS), dovrebbe essere un’occasione per ribadire il valore universale del diritto alla salute (sancito nell’ordinamento comunitario dall’art. 35 della Carta dei diritti fondamentali dell’Unione Europea e, a livello nazionale, dall’art. 32 della nostra Costituzione). Ma in Italia, questa giornata suona sempre più come un monito.
Dal 1997, il Servizio Sanitario Nazionale ha subito un progressivo indebolimento, frutto di scelte politiche trasversali, portate avanti da governi di ogni colore. Destra e sinistra si sono alternate, ma la rotta è rimasta la stessa: tagli, privatizzazioni silenziose, precarietà del personale e un accesso sempre più limitato alle cure stanno trasformando la sanità pubblica in un sistema a rischio collasso.
Il lento smantellamento del Servizio Sanitario Nazionale (SSN)
I numeri parlano chiaro. Nel 1997 esistevano ben 782 Pronto Soccorso all’interno degli istituti di ricovero pubblici; nel 2020 ne restavano solo 410, praticamente dimezzati.
Nel frattempo, chi può permetterselo si rivolge sempre più al privato, mentre chi non ha mezzi resta in attesa, spesso troppo a lungo. Questa “fuga” verso il privato è una conseguenza diretta delle criticità che affliggono la sanità pubblica:
- carenza di strutture ospedaliere in molte regioni
- indisponibilità di macchinari e strumenti medici all’avanguardia
- carenza di personale medico, infermieristico e operatori socio-sanitari
- tempi di attesa infiniti e diagnosi in ritardo
- dimissioni affrettate per mancanza di letti
Queste problematiche sono accomunate da una radice comune: la mancanza di investimenti adeguati, strategici e mirati nella sanità pubblica.
Un esempio tra tanti: in Puglia, alla fine degli anni ’90, si contavano ben 70 Pronto Soccorso all’interno di strutture di ricovero pubbliche. Oggi sono solo 29. Analoga situazione in Campania, dove i P.S. sono passati da 59 a 43. In Basilicata, nel 2020, sono stati individuati solo 2 Pronto Soccorso negli istituti di ricovero pubblici, a fronte dei 12 presenti negli anni ’90. Le conseguenze sono drammatiche: distanze enormi tra una struttura e l’altra, attese che diventano fatali, e cittadini lasciati soli davanti al bisogno di cure immediate.
Meno medici, più pazienti: un sistema in affanno
La crisi non riguarda solo gli ospedali. Anche la medicina di base è in grave difficoltà. Ogni cittadino iscritto al SSN ha diritto a un medico di medicina generale (MMG) che garantisca le prestazioni incluse nei Livelli Essenziali di Assistenza (LEA). Ogni medico di famiglia può seguire fino a 1500 assistiti, ma la realtà spesso supera questi limiti, con deroghe locali in casi specifici.
Secondo i dati SISAC (Struttura Interregionale Sanitari Convenzionati), tra il 2019 e il 2023 abbiamo perso quasi 5.000 medici di base (-12,8%). Il Ministero della Salute conferma: nel 2023, il 51,7% dei medici di base aveva più di 1500 pazienti, mentre un altro 30,7% ne aveva tra 1001 e 1500. Solo il 10,5% assisteva tra 501 e 1000 persone.
Durante l’emergenza Covid, questa pressione si è trasformata in un corto circuito. I medici, sovraccarichi di richieste, non riuscivano a rispondere adeguatamente ai bisogni di contatto, monitoraggio, diagnosi e terapia. I cittadini si sono sentiti abbandonati.
Il rischio di una sanità a due velocità
“La salute è un diritto, non un privilegio. E ogni giorno in cui il pubblico arretra, il privato avanza, selezionando chi può permettersi il diritto alla cura.”
Con queste parole, l’avvocato Vincenzo Liguori riassume il cuore del problema.
Nel 2023, la spesa sanitaria privata in Italia ha superato i 40 miliardi di euro. Sempre più famiglie, scoraggiate da liste d’attesa interminabili e da un sistema pubblico in crisi, si rivolgono al privato per evitare lentezze e carenze. Ma questo non può diventare la norma. Non possiamo accettare che il benessere dipenda dal conto in banca, creando una sanità a due velocità dove alcuni cittadini sono “privilegiati” e altri “danneggiati”.
Non è (solo) politica: è questione di dignità collettiva
“Non è questione di ideologia, ma di dignità collettiva.”
Difendere il Servizio Sanitario Nazionale non è una battaglia politica. È una questione di diritti fondamentali. È l’applicazione concreta dell’articolo 32 della Costituzione, che riconosce la tutela della salute come diritto dell’individuo e interesse della collettività. Favorire una sanità a due velocità è una vera e propria discriminazione.
Serve un cambio di rotta
Il 7 aprile non può più essere solo una celebrazione formale. Deve diventare un giorno di consapevolezza e mobilitazione. Non possiamo restare indifferenti mentre il diritto alla salute viene lentamente smantellato. Le istituzioni, a ogni livello, devono riappropriarsi della responsabilità di garantire a tutti i cittadini l’accesso a cure mediche adeguate, senza distinzione di sesso, provenienza, lingua, opinioni politiche ed estrazione sociale.
Non possiamo accettare che la tutela della salute diventi un lusso per pochi, perché invece è un diritto universale, di tutti. Quella dello Studio legale Liguori & Partners è una battaglia di diritti, di uguaglianza, di civiltà.
Se hai vissuto situazioni gravi legate alla negazione o al ritardo delle cure, se è stato leso il tuo diritto a ricevere assistenza e cure mediche adeguate, se hai bisogno di tutelare i tuoi diritti come cittadino e come paziente, rivolgiti a chi può aiutarti. Noi siamo dalla parte giusta, quella dei diritti.